Se i vostri studi liceali sono stati classici avrete sicuramente già sentito questa nota citazione dello scrittore latino Vegenzio “Si vis para bellum”: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. In questo articolo non vi parliamo di latino tranquilli, ma del film omonimo del regista italiano Stefano Calvagna uscito nel 2016.
Si vis para bellum (2016): la trama
La storia di Si vis para bellum racconta di un “cattivo” dal cuore buono. Il nostro protagonista, interpretato dallo stesso regista Stefano Calvagna, fa il buttafuori in discoteca. Avanzi tempo si occupa di crimini e omicidi per conto di un noto boss e ricco imprenditore della Roma bene.
Stefano, così si chiama il nostro anti-eroe, ama il cibo cinese e frequenta assiduamente la comunità del Sol Levante di Roma, dove incontra Ang Lee di cui si innamora follemente.
Il nostro protagonista vive una vita un po’ a metà: vorrebbe smetterla di uccidere su commissione, ma deve anche mantenere la mamma gravemente malata. Un giorno però l’occasione giusta sembra presentarsi alla sua porta. Purtroppo le cose non andranno per il verso giusto.
Considerazioni sull’autore
Stefano Calvagna è un volto seminato del cinema italiano emergente. Spulciando un po’ in rete abbiamo scoperto che ha esordito a soli 16 anni con il film “Senza Paura”. Anche qui i protagonisti sono una banda di manigoldi, malviventi mafiosi che si approfittano delle situazioni intorno a loro.
L’obiettivo di Calvagna è da sempre quello di portare al cinema temi intimisti, visti con l’ottica dell’uomo che non ha via d’uscita. Per realizzare i suoi film ci mette tutto sé stesso (in tutti i sensi): è regista, attore e produttore, insomma ce la mette tutta per fare a modo suo, senza dover sottostare alle decisioni di nessun altro.
In questo modo i suoi prodotti cinematografici, come lo è anche Si vis para bellum, diventano film nudi e crudi, molto spesso aspramente criticati da chi si occupa di cinema ad alti livelli. Una cosa vera però è che il genere rilanciato da Calvagna con il tempo si è poi fatto amare dal pubblico grazie a prodotti come “Romanzo Criminale” o ” Gomorra”.
Si vis para bellum tra parallelismi e ambientazioni noir
Diciamocelo chiaro: Si vis para bellum non ebbe successo all’uscita nelle sale. Il problema non fu tanto l’interpretazione di Calvagna o ancora quella della giovane Francesca Fiume (Ang Lee).
Il problema reale fu il parallelismo (voluto o meno) tra questo film e il più noto e pluripremiato “Lo chiamavano Jeeg Robot”, uscito l’anno precedente. Il personaggio di Santamaria e quello di Calvagna infatti un po’ si somigliano. Stefano di Si vis para bellum non si trasforma, non ha super poteri, ma vive una realtà suburbana, fin troppo brutale.
Sono entrambi anti-eroi con personalità fuori, che uccidono se devono, rubano se serve, ma si pentono di non vivere una vita normale. Rispetto al film di Mainetti però la pellicola di Calvagna è piuttosto amatoriale e (forse volutamente) sciatta. Un noir poco accattivante.
Un finale prevedibile
Concludiamo parlandovi del finale. No, non vi faremo nessuno spoiler. Infondo, al di là di quello che si può sentir dire di un film, ogni prodotto uscito al cinema vale la pena di essere visto almeno una volta.
Per questo motivo, vi consigliamo di vedere Si vis para bellum ricordandovi però di non avere troppe aspettative, soprattutto sul girato e sulla recitazione, i cui dialoghi lasciano davvero a desiderare.
Ma torniamo al finale: prevedibile, a tratti ironico, lacunoso. Chiunque sia appassionato di telefilm polizieschi capirà a partire dalle ultime 15 inquadrature come andrà a finire la storia. Nonostante questo, avrete modo di farvici anche sopra una risata e di non capire comunque come si giunge ad alcune conclusioni perché è come se mancassero dei pezzi.
Un film che si definisce drammatico, ma che alla fine merita vedere solo per sostenere suo regista e protagonista tuttofare.