“Se Dio non esiste, tutto è permesso”. Comincia così, con una citazione di Ivan Zaramazov, L38. Questo riferimento a Dostoevskij per un attimo ci fa credere di essere nel lato intellettualoide dell’indie italiano. Ma è solo un attimo, quello che intercorre tra un dilemma etico ed uno molto più concreto: le buche a Roma.
In meno di un minuto si mostra subito il core di questo esperimento undeground: la romanità fusa con il gore degli snuff movie. Forse non proprio uno spunto nuovissimo, ma decisamente godibile nel complesso. La regia cruda di Stefano Torrini ci mette subito sulla retta via e la periferia di Roma è un set davvero perfetto per racchiudere personaggi così grezzi.
Bella la location, particolari gli attori non tutti professionisti che però fanno del loro meglio, particolari (forse troppo) i personaggi… insomma, un esperimento abbastanza riuscito! L’unica vera (grande) pecca è l’audio che rovina il contesto e rende le orecchie più impegnate degli occhi. Specialmente se non si ha abbastanza dimestichezza con la calata romana.
Snuff movie e i limiti del morale: la trama di L38
La trama di L38 corre sul sottile bordo del verosimile: da una parte la realtà delle gang romane, dall’altra il loro reato particolare, gli snuff movie. Sì, perché se siamo abituati a vedere cricche criminali che bazzicano i quartieri più malfamati di solito è per droga o prostituzione. Qui no, in L38 non è nemmeno semplice omicidio ma una vera e propria forma d’arte sadica.
Un improbabile quartetto infatti si è specializzato nel rapimento, nella tortura e nell’assassinio di giovani ragazze. Il tutto a ritmo di un copione che di volta in volta viene loro fornito e che può prevedere mani mozzate, sbudellamenti e altre sevizie. Tutto, insomma, meno che sesso, perché, come dice il Ceceno “Mica stamo a fa’ i porno qua”.
Forse proprio quest’etica del lavoro, o magari le performance di Cristo o Spillo, o ancora l’ottimo montaggio dell’Orso portano i primi fan. Fan molto importanti e pretenziosi, che spingono la violenza di queste produzioni ben oltre i limiti umani.
Laurentino 38 e i Ponti: i luoghi e l’anima dei film
L38 è l’affettuoso alias che è stato dato proprio a Laurentino 38 dai romani, o meglio, da chi vive da quelle parti. È chiaro quanto l’importanza della location permei tutta la pellicola, a partire proprio dal titolo.
L38 è una piccola perla di veracità romana, non per il marcato accento (che comunque fa molto Romanzo Criminale) ma per tutta l’atmosfera. E non parlo solo delle strade dissestate, degli edifici rovinati di una periferia abbandonata, ma anche della casa con la tovaglia a quadri gialli, proprio come quelle in cucina di nonna.
Il casting è stato fatto direttamente nella zona dei Ponti e le persone scelte vengono da quei quartieri, li conoscono bene. Non sono professionisti, e si vede, ma riescono a trasmettere quel senso di veridicità che ti fa chiedere se sia poi così assurdo quello che stai seguendo.
La storia di L38
Una delle cose più impressionanti di L38 è che l’anima romana che pervade tutto il film non doveva esistere. L’idea iniziale del regista, Stefano Torrini, era di ambientare la storia in Kazakhstan. Nel 2012, infatti, Torrini lavorava lì come editor di film locali. Il titolo originale sarebbe dovuto essere “The producer”, decisamente più esplicativo per la trama.
Purtroppo e per fortuna, il mercato kazako non era pronto per quei fiumi di sangue e quella brutalità estrema. Non come quello italiano! 6 anni dopo l’ideazione, quindi L38 vide le luci, grazie anche all’intervento della The Clown Splatter che si è occupata di tutte le scene appunto… splatter. Il risultato può sembrare un po’ amatoriale, ma perfettamente in linea con il tutto!